
Ai Suoni Ricevuti
in memoriam Luigi Nono
L’8 maggio del 1990 si spegneva uno dei più grandi compositori
del Novecento; una malattia lo sottraeva crudelmente al periodo più straordinario
della sua lunga attività compositiva: di fatto negli anni Ottanta il maestro
veneziano aveva firmato un capolavoro dietro l’altro, da Fragmente
- Stille, an Diotima al Prometeo, da Caminantes…Ayacucho
a La lontananza nostalgica utopica futura, brani informati da una
forza dirompente e irrefrenabile nella ricerca espressiva e nell’esplorazione
del suono. È ovvio che parafrasando il famoso articolo di Massimo Mila
(Dove vai, Gigi?), si potrebbe legittimamente chiamare questo decennio
di musica italiana, orfana del suo più grande esponente, il sentiero
interrotto di Luigi Nono. Un aggettivo caro a Nono (e perfetto per
una definizione della sua forma di vita) era ed è "infinibile";
dunque infinibile cammino, nel senso di sconfinato, indefinibile,
in-esauribile. Questa infinibilità è proprio ciò che sottrae il cammino
di Nono alla sua interruzione; nella sua musica spesso appaiono figure
(un esempio su tutti, quello di Luciano Cruz di Como una ola de fuerza
y luz) che lasciano traccia "attiva" dopo la morte, che
rivivono nel canto d’altri. Ed infatti, prima e dopo la sua morte,
Nono è apparso come un punto di riferimento, una figura il cui il brano
"ad omaggio" non era mero scambio di favori o celebrativa occasione,
ma segnale vivido del valore e della decisività di un sentiero aperto
dal maestro veneziano. In Italia lo hanno capito presto compositori come
Giacomo Manzoni, Armando Gentilucci, Salvatore Sciarrino, anche se è prevalsa
in patria una certa diffidenza, se non l’esplicita preferenza per
compositori meno politicizzati ed estremi. All’estero si sprecano
gli aperti riconoscimenti, senza remore né condizionali: Nono come compagno,
come maestro, come figura chiave non solo della musica, ma della cultura
del dopoguerra. Nella svolta di un recupero umanistico, di una torsione
verso la centralità della soggettività, dopo anni di enfasi sull’aspetto
collettivo, Nono ha preceduto quasi tutti i ravvedimenti della cultura
e della politica di sinistra, dove comunque ha sempre, con convinzione
e senza misure, collocato il proprio agire. Invece che "di parte",
Nono è sempre riuscito a collocarsi "a parte", e questo tanto
più la sua vocazione era rivolta verso una efficacia sociale del suo fare
musica, verso un desiderio di comunanza, di compartecipazione. Un "a
parte", che molti hanno potuto amare, conoscendolo; e conoscerlo
significava avere la fortuna di fare esperienza di quella unitarietà tra
pensiero e modus vivendi, quella capacità di incarnare le proprie
idee, che è sempre più rara anche nelle figure più rifulgenti del panorama
culturale contemporaneo. Essere "a parte" era il risultato di
una radicalità, di una passione senza "alleggerimenti", non
certo il frutto di una visione solipsistica, concentrata sui propri raggiungimenti.
Nono si faceva partecipe di tutto l’ambiente musicale, soffriva o
ne gioiva, soprattutto interveniva, senza mezze parole, senza mezzi suoni.
È importante che a dieci anni dalla sua morte si cerchi di rivivificare
nuovamente l’impatto della sua voce "musicale" e di uomo
di cultura. Un ricordo a Luigi Nono non può che trascolorare nella nostalgia
verso una tensione espressiva nella scena musicale italiana, vivissima
e ai vertici del panorama internazionale fino agli anni Ottanta, che ora
si è affievolita. La sensazione di disperdere testimonianze di grandi
autori, i loro sentieri aperti e pronti per essere percorsi, la sensazione
di aver frustrato giovani talenti che si sono rintanati perché poco sostenuti
anche dalla miope politica culturale di un paese come il nostro (che spesso
ha preferito aiutare qualche aitante, postmoderno e magari neoromantico
compositore pronto a professare un "ritorno all’ordine tonale"
dopo tanta avanguardia), questa triste sensazione - dicevamo - è fortissima.
L’esperienza musicale novecentesca lascia un patrimonio enorme,
estranea come è stata a logiche di mercato e da derive concettualiste
molto chic; nel suo stato semi-disperato, nel suo essere quasi
inascoltata, la musica contemporanea ha camminato senza ritegni, senza
mezze misure, lasciandoci una forte miniera di nostri possibili,
altri spazi, altri suoni, altre modalità di abitare e sentire il mondo.
Nono è stato uno dei massimi interpreti di tale cammino; è opportuno
che questa musica riesca a raggiungerci offrendoci una forma di vita,
un senso della durata, dello scandire il tempo, un senso dell’attraversamento
dello spazio, alternativi. Il lascito dell’ultimo Nono, nel suo essere
- per dirla alla Cacciari - più che un utopista, un compositore capace
di profezia, vale a dire qualcuno che rompe radicalmente sconvolgendo
un assestamento di lungo periodo ("mettendo in cammino" piuttosto
che offrendo un paesaggio ideale già bello e confezionato), è quello di
avere messo al centro l’orizzonte sensibile e affettivo come motore
del possibile e dell’auspicabile, anche nel terreno sociale. Questo
orizzonte è il frutto ultimo di una ricerca di condivisione, che dopo
tanta agitazione, ha potuto anche trovare la forma pregnante del silenzio.
Citatissima, la scritta murale Caminantes, no hay caminos hay que caminar
(Camminatori, non ci sono cammini se non la camminata) vista a Toledo
da Nono (e in realtà citazione distorta di un verso di Machado, poeta
musicato dallo stesso maestro veneziano), è divenuta l’emblema di
tutta la ricerca di fine anni Ottanta, sia sul piano musicale (composizione
come apparizione/sparizione di suoni camminanti che percorrono lo spazio
da un punto all’altro), sia su quello poetico: allora inutile cercare
strade preconfezionate, aspettare parole rivelate o spiegazioni sul senso
del vivere e dell’indagare; c’è solo la camminata, il tracciato
dei nostri passi nel buio del non sapere; un cammino individuale, senza
ricette o ricalchi possibili, ma nel camminare, in questo poter solo attestare
la nostra camminata, vi è il massimo potenziale di condivisione, di apertura
di un orizzonte comune ad armi (verità, certezze, volontà di potenza,
ecc.) posate. Nel massimo di interiorizzazione vi è la potenzialità della
massima esteriorizzazione.
Colpisce in Nono la coscienza lucida di un’appartenenza a una comunità
invisibile eppure solidissima, comunità interartistica, capace di una
socializzazione del sensibile e di una sensibilizzazione
al sociale: da Tarkovskij, a Jabès, da Scarpa a Kurtág, da Barraqué a
Pollini, da Maderna a Cacciari. Colpisce anche una certa prossimità con
il pensiero filosofico-poetico di matrice ebraica; certo Jabès, ma anche
e soprattutto le tangenze con Levinas, la preminenza prospettica data
all’alterità, ossia alla differenza ancora e sempre possibile,
vissuta come offerta imperdibile di sommovimento, di ricerca. Il possibile
non si realizza, lo si apre e continua dopo la sua apertura, dopo averlo
cantato, rimane nell’aria: così la musica di Nono, sopra i nostri
tempi, offerta di altri cammini. È il suo modo di (ri)vivere. Ricordo
di Nono. Ricordo di ieri sull’avvenire. Spazi. San
Lorenzo a Venezia. Tutto il mondo. Dietro. Ai suoni ricevuti. Ed altro
ancora… |