
Il gesto eccentrico di Sylvano Bussotti.
Un omaggio critico per i suoi 70 anni
"L’immagine
dell’Artista Completo (si veda il Rinascimento fiorentino) che
per la sua eccezionale polivalenza faccia piuttosto pensare
ai fenomeni naturali. Nel fare Teatro –ideare il dramma, comporre
il testo, crear la musica,disegnare le scene, i costumi, dirigerne
la messa in scena: determinarne con feroce minuzia l’evento
d’eccezione uno per uno saremo coinvolti, all’orecchio di ciascuno
di noi la stessa voce illuderà d’esser Lui, il creatore,
noi stessi." (S. Bussotti, i miei teatri).
Quella di Bussotti è figura del
tutto originale, in un panorama, come quello della musica
contemporanea, che tende, oramai da qualche anno, ad appiattirsi
in un’omologazione triste e insignificante. L’ambiente della
musica contemporanea va comunque stretto a una personalità
multiforme come quella di Bussotti, che percorre tante strade
della cultura e dell’arte, sempre con un atteggiamento eccentrico,
che si pone cioè non nel centro istituzionalizzato del sapere,
ma lo affronta con pensieri e gesti personalissimi, mettendo in
opera un’ermeneutica dell’arte che eccede
l’interpretazione corrente (si tratti della serialità o dell’aleatorietà
o della concezione teatrale o d’altro), per intraprendere
strade singolari, che non hanno riscontro in nessun altro
musicista, né italiano né straniero, né degli anni passati
né di quelli recenti.
Bussotti è pittore e disegnatore
di origini eccelse, virtuoso di ornati neo liberty, costumista,
regista, organizzatore culturale, scrittore, didatta, oltreché
– naturalmente – compositore abilissimo e dal gusto
raffinato. Quest’anno compie 70 anni, essendo nato a Firenze,
il 1 Ottobre 1931, città dove recepisce, fin da piccolo, un’educazione
alla pittura, lo zio Antonio Zancanaro (1906-1985) e il fratello
Renzo lo indirizzano verso uno stile che poi sarà il suo, stile
formato da un’immaginazione fertile sino all’esuberanza,
modellato su una duttilità e fluenza della linea che si propaga
per dilatazione continua ed elegantissima. "Tono"
Zancanaro, padovano, dopo aver frequentato i Corsi presso l’Istituto
Selvatico di Padova, viaggia spesso verso Firenze, dove disegna
per divertire il nipotino Renzo e sarà proprio lui a
battezzarlo "Tono". A Firenze viene introdotto, dal
critico Mario Tinti, nello studio di Ottone Rosai dal quale
Zancanaro riceve "la prima e unica, fondamentale lezione
sulla natura dell’arte", com’ebbe a riconoscere. L’atipicità
dell’immagine di Zancanaro tocca toni che vanno dal grottesco
al sublime, con valenze ora dionisiache ora apollinee, come nel
ciclo del "Gibbo" (1), iniziato nel 1937 e realizzato
dopo la frequentazione dell’ambiente universitario padovano e
degli antifascisti legati a Curiel, Luccini e Braun. Seguirà il
ciclo della "Levana" realizzato nel 1947-48, anni d’importanza
fondamentale per l’educazione del giovane Bussotti che questo
ambiente, non solo artistico, ma anche d’impegno etico e
politico, assorbe profondamente, tanto che queste parole del
critico d’arte Nicola Miceli, su Zancanaro, potremmo farle
calzare a pennello anche per la scrittura musicale e la poetica
di Bussotti: "l’elemento filiforme di congiunzione panica
tra l’ambiente e le creature, divenendo ora onda ora chioma,
spirale e ninfea, segnale di transitività tra una condizione e
l’altra dell’esistenza, tra una forma e l’altra di vita
nella natura. Sarà il simbolo di quell’ambiguità ermafrodita
cui è affidato il compito di rappresentare la continuità tra
il reale e l’immaginario. Nel segno dell’edonismo erotico
dell’arte" (2).
Insieme all’influenza
fortissima dell’arte figurativa, Bussotti concepisce poetici
drammi per la scena e allinea versi su versi, nella severa
disciplina dell’endecasillabo. Per la musica, si avvicina allo
studio del violino, in seguito all’interessamento di
Gioacchino Maglioni, che nota in lui un talento non comune,
tanto da affidarlo alle cure della Castellani, la quale lo farà
ammettere al Conservatorio fiorentino. Da questo ingresso, la
musica prende progressivamente il sopravvento. Alle soglie dell’adolescenza
ha già composto musiche per il teatro, corredandole di quanto
occorre a prefigurarne l’evento scenico (3). Partecipa alla
vita musicale fiorentina, avvicinandosi a Roberto Lupi e a Luigi
Dallapiccola.
Nel 1946 viene pubblicato il
libro di Lupi, Armonia di gravitazione, un lavoro che
Casella, autore della Prefazione considera "uno dei
pochissimi contributi veramente validi" (4). La riflessione
di Lupi interesserà Bussotti e si pone indubbiamente come uno
dei contributi più rilevanti al dibattito sulla composizione in
ambito non solo fiorentino, ma italiano. Quella di Lupi (che
succederà a Frazzi nella cattedra di composizione presso il
Conservatorio "Cherubini") è una musica che crea
forze gravitazionali, speculando sui suoni armonici. Pochi anni
dopo, nel 1954, Bussotti partecipa alla fondazione di un’associazione
di musicisti, di un gruppo che si forma con l’unico intento di
conoscere e approfondire la musica del proprio tempo: tale
congrega artistica prende il nome di "Schola
fiorentina", anche se della scuola, intesa come disciplina
didattica, non ha nulla, il termine va inteso come aggregazione
di musicisti che vogliono praticare un libero esercizio
culturale, peripatetico. Questo sodalizio comprende, oltre al
giovane Bussotti, Prosperi, Bartolozzi, Benvenuti, Smith-Brindle,
Company (a casa del quale i musicisti spesso si riuniscono, in
quanto è l’unico del gruppo a possedere un registratore e
quindi a poter registrare quei pochi brani di musica
contemporanea che la radio manda in onda). Gli anni Sessanta si
presentano, a Firenze, più ricchi e intensi per la musica
nuova, soprattutto grazie all’Associazione di Piero Grossi
"Vita musicale contemporanea" che organizza rassegne
negli anni che vanno dal 1961 al ’67, nelle quali la musica di
Bussotti viene presentata più volte. Lo choc provocato
dalla musica contemporanea, nel chiuso ambiente fiorentino, dove
si continua a chiamare "cacofonia" la musica di
Schoenberg, è tale da far considerare, non solo dal pubblico
perbenista, ma anche dagli addetti ai lavori, Cage un buffone,
Stockhausen e Boulez dei meri ingegneri del suono, Bussotti un
provocatore! (5)
Bussotti al Conservatorio passa
soprattutto il suo tempo in Biblioteca, a ricopiare partiture e
codici antichi, imitando le calligrafie di Bach e di Mozart.
Lascia poi il Conservatorio fiorentino perché sente il bisogno
di non perder tempo in studi poco proficui per i suoi scopi e si
mette a occuparsi di teatro e di marionette. Uno di questi
spettacoli lo porta in Francia, dove a Parigi conosce Max
Deutsch, del quale segue la famosa classe di Analisi musicale.
Sempre in Francia conosce Pierre Boulez, musicista ammiratissimo,
mentre il musicologo Hans Klaus Metzger lo conduce in Germania a
incontrarvi Stockhausen e soprattutto John Cage, prendendo
quindi contatto con problematiche fino ad allora ignorate.
Soprattutto è la poetica di Cage che troverà profonde sintonie
nel giovane Bussotti, con quel suo "tornare ai suoni",
al di qua di ogni struttura, con l’invito ad "aprire le
orecchie e a intendere la musica come la vita stessa". Di
Cage, Bussotti sembra essere il vero e unico erede italiano,
avendone saputo cogliere il messaggio rivoluzionario e positivo
(mentre altri musicisti lo hanno volto seguendo i canoni della
negatività adorniana). Con una nuova
consapevolezza linguistica e culturale, all’età di 27 anni,
Bussotti inizia davvero a scrivere, infatti il suo Catalogo
ufficiale viene fatto partire dal 1958, mentre quasi tutti i
lavori precedenti sono dodecafonici. Del ’58 sono Due voci per
soprano, onde Martenot e orchestra, Breve per onde
Martinot (lavori poi rielaborati rispettivamente nel 1985 e
1972), entrambi presentati alla XXXma Biennale di Venezia, e le
prime Pièces
de chair II, tutti brani aseriali e d’ispirazione
extramusicale, caratteristiche che diverranno tipiche. All’inizio
dell’anno successivo vedono la luce le stupende cinque pagine
grafiche dei Five piano pieces for David Tudor (poi
inserite nel ciclo artauriano delle Pièces de chair II):
su un tracciato di linee che funge da sfondo si incrostano segni
minuti che ricoprono o spezzano l’andamento orizzontale delle
linee, creando percorsi liberi e circolari, collegati fra loro
da segreti cunicoli. Partiture di questo tipo richiedono all’interprete
un lavoro di decodifica non solo sonora, ma anche gestuale. Il
compositore non sa quali suoni usciranno dal segno e si pone in
attesa. Lo stato dell’attesa, condizione necessaria all’accoglienza,
tramuta l’ascolto formale in auto-ascolto e,
contemporaneamente in ascolto dell’altro. I segni pittografici
hanno in sé una gestualità implicita un’eccitazione delle
dita dello strumentista, un’espressione tattile e corporea che
richiede all’interprete inventiva e partecipazione. La pagina
bussottiana "vuole essere con rabbia, con precisione, un
volume, una scena striata di lampi di luce, attraversata da
onde, interrotta da figure \…\ nella quale le linee, gli
spazi, le fessure, le zebrature hanno il compito di suggerire,
se non di imitare ciò che avviene realmente sulla scena dell’ascolto.
Un manoscritto di Bussotti è già un’opera totale" (6).
Bussotti ignora le esperienze
strutturalistiche di Darmstatd, per esplorare istintivamente –
seguendo l’impulso ricevuto dall’educazione famigliare –
le valenze sonore di una scrittura grafica personalissima, volta
a sensi erotici e sensuali, in un’ambiguità da libertino.
Nella prima metà degli anni Sessanta. Bussotti compone una
serie di pezzi che andranno a confluire in quello ch’è il suo
lavoro più eccentrico, La passion selon Sade
(1965), composta in gran parte in America: "musica e
sesso somigliandosi troppo per non sembrare condannati entrambi
a un mutuo sacrificio" (7). La Passion è
incentrata su una simbologia erotica, affermazione della
sensibilità personale, ma anche del culto della bellezza che
ricorda certi lirici greci. Ma c’è in Bussotti anche un Eros
barocco, un’eccitazione che copre l’orror vacui,
presente fin dalla frenesia grafica della pagina, come riconosce
lo stesso Bussotti: "quel che unisce le pagine musicali ai
fogli disegnati è quasi sempre il terror plenum amico
dell’orror vacui" (8). L’ipersensibilità,
voluttuosa e lussuriosa, si manifesta negli ornati liberty,
negli arabeschi fioriti, nei ceselli orientaleggianti, nel
piacere leggero dell’ebbrezza (come nel pezzo pianistico Novelletta
del 1973).
Il pensiero (musicale)
occidentale si è troppo spesso guardato allo specchio, pieno di
sé, esprimendosi con un compiaciuto linguaggio per iniziati,
gergale e altisonante, tecnico e in bianco e nero. Occorrono
invece – come sa bene Bussotti – i colori vivi e caldi dei
corpi che danno energia, facendo superare alla musica
contemporanea quel senso di atrofia e di straniamento che deriva
dalla frustrazione dell’Eros, il quale significa passione d’amore, che
collega i suoni alla vita, scatenando un pandemonium
dove necessità e caso fan tutt’uno. L’Eros tutto chiede in
sacrificio, non in un’aspirazione al trascendente, ma in un
fantasmagorico gioco dove i suoni ti portano sulla soglia della
vita e della morte (un "requiem per la vita"). L’Eros,
come ha scoperto Freud, muove il mondo e prenderlo di petto non
è una stravaganza, ma un atteggiamento molto umano, erotismo e
umanità vanno di pari passo, si veda quel Requiem d’Amore
dedicato a Romano Amidei, ch’è The
Rara Requiem (1968), assorta meditazione sull’umano, poi
incluso nell’ultima parte di Lorenzaccio, melodramma
romantico danzato, in 5 atti, composto fra il 1968 e il ’72.
Il rapporto con la memoria ha molta importanza nel modo di
comporre di Bussotti, il quale usa ri-utilizzare e ripercorrere
elementi già apparsi in opere precedenti, ma non nella forma
dell’assemblage
o del collage, piuttosto con un’attenzione al
particolare, al diverso inserimento di un elemento nel nuovo
contesto che quell’elemento cambia, mutandone il contesto ne
modifica il carattere e la funzione, approdando a significati e
atmosfere diverse da quelle precedenti, rivitalizzando il tutto,
pur conservando con l’opera di origine legami sottili e
misteriosi. Bussotti si comporta un po' come fa Stravinskij col
modello storico, ciò che conta è la distanza e l'approdo nuovo
(con il grande Maestro russo, specie nei suoi balletti, Bussotti
condivide la tendenza, a rappresentare la "partition comme
théatre"). In un certo senso, Bussotti procede come un
giardiniere quando opera un innesto, prende un elemento vivo e
lo trasporta in un altro contesto vivo, realizzando in quest’unione
un nuovo organismo vivente, legato all’origine, ma anche molto
diverso.
Le opere abbondano di
(auto)citazioni, di richiami al privato, di inviti
confidenziali: "sarebbe un peccato" – si confessa
Bussotti – "disperdere quei piccoli fatti di corridoio
che accompagnano le creazioni come la pulce dell’animale. Una
filosofia del pettegolezzo e non solo ha in Proust e in Wagner
le pietre miliari" (9). L’opera è così anche
autobiografia, spazio all’interno del quale è possibile
preservare impulsi e sentimenti minacciati dalla massificazione
e dalla mercificazione che attanagliano l’arte come la vita.
La dimensione del privato e dell’impuro, del molteplice e dell’ambiguo
costituisce il sottofondo di tutta l’attività bussottiana: impuro
nel senso di una contaminazione di tutti gli elementi musicali e
non; ambiguità
intesa come pluralità sfuggente di significati musicali e non.
Col procedimento delle (auto)citazioni e degli innesti, che
riprende l'idea adorniana del frammento ininterrotto, Bussotti
crea dei tableax vivants all’interno dei quali
coesistono personaggi ed eventi inquadrati in una
sovratemporalità mitica, realizzando una sorta di spirale dove
si compenetrano volti e caratteri simbolici, in una sorta di
furiosa proiezione della trionfale festa barocca.
L’umanesimo di Bussotti,
conosce anche l’impegno sociale, come nel caso de I semi di Gramsci,
un impegno che copre proprio il periodo di gestazione di questo
poema sinfonico per quartetto d'archi e orchestra, iniziato nel
1962 e terminato nel 1972; fino agli anni Settanta l'interesse
socio-politico è forte, come dimostrano queste parole, tratte
da un articolo comparso sulla rivista "Rinascita"
dell'Ottobre del 1977: "il musicista dotato anche di un
minimo senso di consapevolezza non potrebbe più astrarsi, nella
società odierna, dal preciso confronto politico."
A I semi di Gramsci segue
il bel balletto Bergkristall: "il principio
strutturale è quello inaugurato con The Rara Requiem e Lorezaccio,
della ripresa, della variazione nel colore strumentale e nel
tempo, di singoli passi: i sette movimenti sviluppano un
medesimo tema o sono comunque basati su dei sottotemi derivati
da quello principale esposto nel primo movimento; sono dunque
delle variazioni \…\ la scrittura è di tipo contrappuntistico
\…\ il flusso melodico è sempre ininterrotto" (10).
Le opere Oggetto amato
(1975), Nottetempo (1976) Le rarità, Potente
(1979), Le Racine (1981) e i balletti Phaidra\Heliogabalus
(1980), Mirò, l’uccello luce (1981), sono lavori
volti a evocare la magia dell’incanto teatrale che richiede la
suggestione del rito, per la realizzazione del quale l’invenzione
coreografica, scenografica e registica diviene essenziale.
Massimo Mila nota, nel ricorso a temi e personaggi storici, un
"culto per le glorie artistiche del passato, un sincero
affetto per il Parnaso patrio e - Bussotti è fiorentino -
municipale." Mila si riferiva a Nottetempo, ma è
certo che un gusto arcaizzante, misto a uno floreale e a uno
ironico e dissacrante, costituisce una miscela espressiva
agrodolce, severa-libertina, che fa delle opere di Bussotti un unicum significativo
davvero personalissimo.
"Una filosofia del melodram(m)a
ha forse l’acme visivo nella combaciante filosofia del
costume. Tono li chiama vestiti, e non gli sfuggirà mai,
infatti, quel termine 'costume' buono a svuotare la veste d’ogni
sua intima personalizzazione" (11). Tono inizia a
collaborare alle messe in scena (si veda lo splendido libro Moda e Musica
per i tipi della Idea Libro di Milano). Per i 70 anni di
Zancanaro, Bussotti scrive Autotono, sette fogli da lui
disegnati e dallo zio ulteriormente elaborati, per la
realizzazione finale di fascinosi quadri grafici da galleria e
da concerto.
Insieme ai lavori per il teatro,
Bussotti scrive per strumenti, vari pezzi iniziati nel 1979 da Il catalogo è questo,
poi riuniti in un’antologia in due parti Opus Cygne e Raragramma
(1982). Intanto vince numerosi premi (fra cui tre premi della
SIMC), risiede all’estero (fra l’altro a Buffalo e a
Berlino), insegna in varie prestigiose scuole (come la Scuola di
musica di Fiesole e aprendone una a Genazzano), scrive articoli,
saggi, libri; realizza numerosi allestimenti e regie di opere
teatrali (in particolare di Puccini e Verdi, ma pure di
Monteverdi, Mozart, Rossini ecc.); è l’unico artista vivente
invitato a esporre un proprio dipinto al Museo d’Orsay di
Parigi (in occasione della prima esecuzione di Questo fauno,
musiche commissionate per celebrare il centenario di Mallarmé,
su testi poetici dello stesso Bussotti); non pochi gli
spettacoli allestiti, le esibizioni da pianista e da attore.
Inoltre diventa direttore artistico del Teatro La Fenice di
Venezia, del festival pucciniano di Torre del lago, poi lo sarà
della Biennale di Venezia. Fonda il Festival di Genazzano.
Seguendo la Scala milanese, all’epoca di Paolo Grassi, nasce,
già dal 1976, la sigla BUSOTTIOPERABALLETT: "una parola
del tutto inventata, composita (un cognome che introduce,
personalizzandolo; il richiamo a due grossi generi di spettacolo
con musica) \…\ frivola e oscura, di utilità mediata e
ambigua" (12). Si tratta di una sigla-contenitore, scritta
in maiuscolo, con l’indicazione di "ballett" alla
francese, è un work in
progress che muta col tempo, alimentandosi e arricchendosi
sempre con nuovi elementi. La produzione di Bussotti diviene,
via via, uno scrigno, pieno di cose preziose, che il Maestro
apre ogni volta vuole iniziare un brano. Lo scrigno non contiene
solo partiture, ma soprattutto pulsioni, sono loro il collante
che lega i vari lavori.
Un posto a parte occupano le
produzioni per pianoforte (dal Pour clavier del 1961 al Foglio
d’album del 1970 ecc.) e per flauto (Rondò
di scena, Cardellino, Rara dolce ecc.). In anni recenti,
Bussotti esce dalle Edizioni Ricordi (13), che avevano da sempre
stampato i suoi lavori, l’uscita dalla Casa milanese dimostra,
ancora una volta, l’indipendenza di Bussotti, spirito libero e
poco propenso a lasciarsi imporre le leggi del clan. Anche nella
produzione recente, come ha scritto Alessandro Sibilia, nel suo
articolo Sylvano Bussotti e le molteplici forme del
flusso di vita (stampato negli Annuari di Tempo Reale di
Merano nel 1996-97), "Bussotti produce una forma d’arte
che, nell’affastellarsi delle sovrapposizioni, sposta l’attenzione
dell’oggetto in sé per trascinare lo spettatore in un gioco
di continui rimandi dalla musica al teatro alla poesia o all’arte
visiva". Fra i lavori importanti ricordiamo il singolare Concerto all’Aquila (1986), H III e
Poemetto, entrambi i brani sono per orchestra (1987),
altri ancora potremmo ricordare degli anni Novanta, come la
performance se dodici una mano per 12 strumenti
che suonano in altrettanti punti diversi, o come Testo a
fronte, dove gli interpreti devono individuare nelle
pagine della partitura delle linee che leghino l’uno all’altro:
sono
corrispondences che tengono vivi i sensi e desta l’attenzione,
attualizzando ogni tematica, come in Tieste: "il
teatro di Bussotti innesca e disinnesca una serie di antinomie,
a cominciare dal tratto ipersegnico eppure iperreale,
autoreferente nel suo eccesso di artificio eppure
invaso-invasato di fisicità parola stretta, letterata e
sapienzale, ma ornata di tutte le astuzie oratoriali e poetiche
che fondano la violenta e pragmatica sonorità del dire"
(14).
I 70 anni sono una buona
occasione per stilare un primo consuntivo che si può ben dire,
al di là del curriculum artistico strepitoso che fa di Bussotti
uno dei compositori italiani più eseguiti al mondo, sia
assolutamente eccezionale, proprio nell’accezione del termine,
ossia che fa eccezione rispetto a quanto gli altri
musicisti hanno realizzato negli ultimi 50 anni di storia
musicale. In questa eccezione sta non solo la singolarità dell’operare
e dell’opera, ma anche l’aver saputo presentare all’ambiente
musicale e culturale internazionale un tratto stilistico nuovo,
un gesto eccentrico di cui oggi, in epoca di piatta
globalizzazione, ne possiamo valutare ancor meglio il valore e
la portata (storica).
Alla storia occidentale, dominata
da una spasmodica informazione tecnologica, non servono
ulteriori mezzi e informazioni, ma una distanza ecologica che
ripulisca la mente, la riconquista di uno spazio per le nostre
pulsioni: questo insegna Bussotti. Nella società massificata v’è
un’ipertrofia della pienezza, occorre allora allargare il
pieno, il troppo, creare zone di respiro, di diminuzione, di
sospensione, di eremitaggio del pensiero, dove l’uomo, ancor
prima dell’artista, ritrova se stesso, il suo Eros vero,
quello che lo collega alla Terra e al Mondo. La qualità di un
brano musicale non risiede solo nella struttura, come pretende
il pensiero di origine formalistica, ma anche nella qualità del
suono stesso, della sua natura ed energia. Il gesto eccentrico
di Bussotti, perché si sintonizza sui reali bisogni del pensare
e fare arte oggi, alla fin fine potrebbe essere il più naturale
e sincero dei gesti.
Per averci indicato che esistono
possibilità ulteriori, di scrittura e di vita
(di come scrivere (sul)la vita e di come vitalizzare la scrittura),
per averci donato il suo scrigno pieno di suoni e gesti preziosi,
è per noi doveroso rendere, con questo scritto, un piccolo
omaggio ai 70 anni di un artista unico.
NOTE
<>Cfr. C. L. Ragghianti, Parlamento
per Tono, Edizioni d’Arte La Loggetta, Ravenna 1971.
<>Cfr. Catalogo della Donazione
Tono Zancanaro, Villa Pacchiani, santa Croce sull’Arno
1992.
<>Cfr. per la parte autobiografica,
la scheda di e su Bussotti nell’ Enciclopedia Italiana
dei Compositori Contemporanei, a cura di Renzo Cresti,
III vol., Pagano, Napoli 1999-2000.
Il libro di Lupi viene pubblicato
dalla Edizioni De Sanctis di Roma, ora il saggio è
ripubblicato nella Rivista La musica 1985, n. 14,
Edipan, Roma 1986. Oltre a Bussotti la speculazione sui
suoni armonici e i forti aneliti spiritualistici e cosmogonici
tipici del pensiero di Lupi, interessarono specialmente
Gaetano Giani Luporini e Piero Luigi Zangelmi.
Ancora in un recente libro,
edito da Passigli nel 1991, Leonardo Pinzauti, critico del
quotidiano "La Nazione", così parla di
Bussotti: "tutto quello che faceva era nel segno di
una sfacciataggine provocatoria e nevrotica, senza alcun
costrutto che non rientrasse nella volontà di épater
les bourges e di scandalizzare con prese di posizione
dissennate e privi di qualsiasi autoironia."
R. Barthes, La partitura
come teatro, in "Oggetto amato – Nottetempo",
Ricordi, Milano 1976.
S. Bussotti, i miei teatri,
Novecento, Palermo 1982.
S. Bussotti, i miei teatri,
op. cit.
S. Bussotti, i miei teatri,
op. cit.
A. Lucioli, Sylvano Bussotti,
Targa Italiana Editore, Milano 1988.
S. Bussotti, i miei teatri,
op. cit.
S. Bussotti, i miei teatri,
op. cit.
La Ricordi, diciamolo con
rudezza, ma con franchezza, ha fallito nel compito di rappresentare
e divulgare la musica contemporanea, oramai è solo
trincerata a difendere gli interessi di famiglia e del tutto
subordinata alla musica leggera.
G. Morelli Luporini, Prefazione a Tieste,
Semar, Assisi 1996. |